Aspettando la 72esima edizione.
È stato da poco annunciato il presidente della giuria del 72 °Festival di Cannes, che si svolgerà dal 14 al 25 maggio 2019 : sarà il regista messicano Alejandro González Iñárritu (Babel, Birdman, Revenant) a dirigere la giuria del Festival di cinema più atteso dell’anno. Tra qualche settimana scopriremo anche i titoli dei film in concorso, fuori concorso e delle sezioni collaterali. Intanto vediamo cosa è successo nella scoppiettante edizione dell’anno scorso, con numerosi film eccellenti e una giuria perlopiù al femminile, presieduta dall’affascinante Cate Blanchett.
È stata un’edizione fortunata quella del 2018 per Dogman di Matteo Garrone. Il film, oltre a ricevere il premio per la sceneggiatura, ex aequo con Lazzaro Felice di Alice Rohrwacher, ha visto vincere la migliore interpretazione all’attore Marcello Fonte. Alla fine della serata della prima internazionale a Cannes, l’attore è stato inondato dall’affetto del pubblico, inoltre gli applausi al film sono durati almeno quindici minuti continuativi. Anche la Rohrwacher ha riscosso un gran successo con la sua ultima avventura cinematografica… Lazzaro Felice è un film la cui semplicità ci riporta all’universo cinematografico del regista Ermanno Olmi, ed è la stessa regista a ricordarlo, commossa, durante la conferenza stampa, in presenza di sua sorella Alba e dell’attrice Nicoletta Braschi. Lazzaro felice resta un quadro perfetto che vede incrociarsi inganni grandi e piccoli e che esalta la verità, senza giudizio, e la bontà dell’uomo.
Entrambi i film si contraddistinguono per un lavoro scenografico meticoloso e attento. Lazzaro Felice, con le sue ambientazioni rurali, gli intonaci scoloriti, e quel magnifico container firmato “E-MITA” dalla scenografa Emita Frigato… Dogman invece spicca per le sue ambientazioni cupe, le gabbie dei cani e i lavatoi, la stanza di lavoro del protagonista che, ancor prima che l’attore possa aprire bocca, definisce esattamente il carattere e il personaggio, inquadrando perfettamente l’attore stesso nell’ambientazione. La scenografia è come un abito cucito su misura, e Dimitri Capuani fa, ancora una volta, un ottimo lavoro.
Interessante appare anche il lavoro sui costumi e sulle scene di BlacKkKlansman di Spike Lee. Il film, premiato con il Grand Prix, è il trionfo degli anni ’70 black. Pettinature afro e pantaloni a zampa d’elefante la fanno da padrone in questa mise-en-scène che riflette sul tema dell’America razzista, con una bandiera americana finale che scolorisce fino a diventare bianca e nera. Le stelle e le strisce si riducono a una questione di bianco e nero, di bianchi e neri. Un film in cui la voce umana è chiaramente uno strumento che non ha colore. Un lavoro minuzioso quello dello scenografo Curt Beech, che ci ha rivelato: “la parola chiave per me è autenticità. Finanche la posta sul tavolo era adeguata al periodo trattato nel film, con tanto di francobollo. Persino i giornali e le etichette sono stati tutti ricostruititi fedelmente.” Sui costumi, Marci Rodgers ci racconta: “ho fatto molte ricerche storiche… per il personaggio di Patrice, ad esempio, mi sono basato su foto di donne coraggiose appartenenti al movimento Black Panther. Patrice indossa sempre il nero proprio perché era, se vogliamo, la sua uniforme. La giacca di pelle a vita lunga che indossa Patrice quando incontra per la prima volta Ron è vintage, mentre gli altri pezzi sono stati disegnati e realizzati ad hoc, come i suoi miniabiti A-line e il cappotto rivestito di pelle”.
Infine, Scenografia & Costume ha ascoltato il regista vincitore della Palma d’oro a Miglior Film Hirokazu Kore-Eda, con il suo struggente, magnifico Shoplifters. Un autentico capolavoro che ci fa riflettere sul concetto di famiglia in termini, ancora una volta, di legame che va oltre il vincolo del sangue. Perché “una famiglia non è fatta necessariamente di persone che hanno lo stesso sangue ma di persone che per noi sono disposte a donarlo”, come ricordava Charles Dickens in Nicholas Nickleby. E a questo proposito il regista giapponese coglie nel segno: “Durante il periodo in cui stavo facendo "Like Father Like Son", una delle domande che sono venute fuori era se la relazione tra un padre e un figlio si stabilisce sul tempo che si trascorre insieme o sul legame di sangue. È il legame di sangue a definire la relazione? Quell’interrogativo si è sviluppato a lungo dentro di me e ho pensato che fosse ora di esplorare una famiglia costituita senza una relazione di sangue tra i membri. Ma se non sono legati dal sangue, cosa dovrebbe tenerli insieme? Ho deciso allora di collegarli attraverso il “crimine”. Ma le dinamiche che sviluppano tra i vari componenti sono senz’altro dinamiche di una famiglia “normale”, con gli stessi litigi, lo stesso amore. E quando si sfalda questa famiglia è lo stesso spettatore a soffrire, poiché ormai si sentiva anche lui parte di essa.”
Ci lasciamo quindi, con questa bella dichiarazione di Kore-Eda, sperando in una nuova e fruttuosa stagione filmica e in un festival parimenti magnifico e sognante.